Alice Pedrazzi
I beni più importanti
“Che i beni più importanti siano le nostre relazioni interpersonali, la sapienza popolare l’ha sempre saputo”. In questo periodo inaspettato e drammatico, arrivato dopo decenni dominati da prodotti di massa anonimi e spersonalizzati, anche chi non ci credeva più, è tornato a comprendere come accanto al consumo di beni, sia essenziale anche nutrirsi di quei beni fatti di incontri e relazioni. Siamo tornati a capire che insieme alla brioche ed al cappuccino consumiamo un altro tipo di nutrimento essenziale, quello relazionale, che ha un valore altissimo, ma non un prezzo.

“Senza considerare questo nutrimento, non capiremmo, ad esempio, perché molti anziani uscivano di casa più volte al giorno per acquistare prima il latte, poi il giornale, poi il pane”...e perché oggi fanno così fatica a starsene rinchiusi: insieme a tutti quei prodotti, consumavano anche beni relazionali. Quelli che oggi ci mancano come l’aria che respiriamo.
Un caffè bevuto in un bar in compagnia di amici avrà un sapore diverso da quello di due mesi fa, anche se fatto con la stessa macchina e la stessa miscela. Per sentire quel sapore “occorrono ghiandole spirituali e civili”, che si stavano atrofizzando. Ma che (forse e ce lo auguriamo) la grande emergenza Covid-19 ha risvegliato. I negozi di vicinato, quelli a cui troppo spesso venivano preferite le grandi piattaforme di e-commerce, sono stati capaci di dare, durante questo lockdown, le migliori risposte: insieme ai prodotti, hanno portato nelle nostre case ed in quelle di chi faticava ad uscire, per condizioni fisiche precarie e per timore, anche l’inesprimibile ricchezza di un bene relazionale raro da trovare fra le norme del distanziamento sociale.

Una carezza data con un sorriso, anche coperto dalla mascherina, un “Signora Maria, non si preoccupi che la carne fresca gliela porto io appena mi arriva...” detto al telefono, un rispondere al campanello e sentire “Sono io, Mauro, della pasticceria...”, un “Come sta suo figlio?” detto mentre ci lasciano la spesa sulla porta di casa, sono beni che prima non valorizzavamo ed ora valgono tanto, forse tutto. Per questo mi auguro che la domanda ed il bisogno di questi beni relazionali torni e “non scompaia più dall’orizzonte della politica”.
Solo così riusciremo davvero a capire nel profondo e a vivere pienamente le nostre città ed i nostri paesi, conoscendone vere ricchezze e reali povertà, comprendendo i costi della chiusura di molti - troppi - piccoli negozi di vicinato. Costi che vanno ben al di là di quelli meramente economici. Così, solo così, capiremo finalmente che è il “piccolo commercio a fare grandi le nostre città”, che il suo valore non è solo economico e occupazionale, ma è sociale, identitario, relazionale. Che la memoria di questa esperienza sia, domani, al servizio del presente e del futuro che verranno.
(Grazie ad Antonella Marchini, perché il suo racconto per immagini di queste giornate è fonte di riflessione e ispirazione, così come la ri-lettura di “Lessico del ben-vivere sociale” di Luigino Bruni)